Il demone che temo, dal quale tento di non farmi possedere, si chiama omologazione.
E’ omologato qualcosa che si confà a criteri prestabiliti.
Mi terrorizza essere omologato, certificato rispetto a criteri totalmente a me estranei, sicuramente a me esterni.
Non ci sono molti modi di sfuggire questo demone, tutti configurano una scenario di devianza:
- L’asceta, con il rifiuto del materiale, rifugiandosi nella contemplazione e nella riflessione, che alcuni chiamano preghiera, riesce ad evadere qualunque criterio di omologazione; il suo comportamento è fuori dagli schemi, più che poco comprensibile è poco influenzabile.
- Il rivoluzionariosegue una strada diversa, più che disinteressarsi dei criteri dell’omologazione come fa’ l’asceta, si diverte a superarli, aggirarli, a contraddirli ad abbatterli.
- Il pazzo, se lo è veramente p la sua non omologazione non è frutto di una scelta cosciente, come tale non può interessare; se non è un pazzo, allora non può essere che un asceta o un rivoluzionario.
Il rigore e la determinazione con cui l’asceta, il rivoluzionario, il pazzo, perseguono il loro itinerario non omologato li rende socialmente anomali, estranei.
La rappresentazione che meglio li identifica è quella dello stilita:
- monaco cristiano che, dal V al XV secolo, in oriente, trascorreva la propria vita di preghiera e penitenza su una piattaforma posta in cima ad una colonna;
- rimanendoci per molti anni, spesso sino alla morte;
- per testimoniare una pubblica dimostrazione di fede;
al di fuori di tutto, lassù in cima alla sua colonna.
Non sono, né l’asceta, né il rivoluzionario, né il pazzo.
Non desidero essere nessuno dei tre, mi piace comunicare con la gente e a farlo da sopra una colonna mi sentirei a disagio.
Ho dovuto trovare un mio modo per combattere l’omologazione senza la presunzione di arrivare ai risultati totalizzanti di asceti e rivoluzionari.
Non ho nemmeno la presunzione di non essere in parte posseduto dal demone dell’omologazione, mi basta a tratti potergli sfuggire.
Questo mio modo si fonda su tre ingredienti fondamentale da usare costantemente:
- l’imperante razionalismo, che non nega per nulla l’istinto, la pienezza delle emozioni, le catarsi affettive;
- una visione della coppia che sia unione di individui, e non monade derivante dalla loro annichilazione;
- la cultura del controtempo, ovvero la possibilità di fruire in orari/stagioni anomali di certi piaceri;
Il controtempo è una cultura della sopravvivenza, che pratico da anni, che ho affinato piano, piano, istintivamente.
E’ l’unico modo per una persona che non sia un asceta, un rivoluzionario, o un pazzo, di evitare la folla, l’immondizia, l’invisibilità.
Controtempo significa fare le cose quando presumibilmente gli altri non le fanno, significa:
- andare al mare fuori stagione,
- stare in città in agosto;
- andare al cinema al primo spettacolo;
- partire una settimana prima di Pasqua o una dopo la fine delle vacanze di Natale.
Siamo tanti, già eravamo tanti, ora in più ci muoviamo tanto in tanti.
Cultura del controtempo significa evitare questi flussi migratori, quotidiani o stagionali che siano.
Significa invertire i dettami dell’omologazione, i tempi previsti, le cose da fare certificate sui modi e sui tempi previsti.
La cultura del controtempo porta inevitabilmente alla solitudine.
In piccolo, la stessa solitudine del rifiuto dell’omologazione.
Se l’asceta è solo per definizione, il rivoluzionario per prassi, il pazzo per contenzione, anche la cultura del controtempo allontana.
Difficile convincere altri ad andare:
- a cena dal lunedì al giovedì sera,
- ad Ischia fine ottobre,
- in Sardegna ad aprile,
- al cinema alle 15.00,
- a vedere i bronzi di Riace nel deserto del museo dove sono posti a Reggio Calabria per evitare le interminabili assolate file romane …
E’ bello rompere, se pure per poco, il maledetto metronomo dell’omologazione.
La cultura del controtempo non è soltanto la negazione, inversione, dei flussi predefiniti dell’omologazione, significa anche continua aritmia, mancanza di regolarità, negazione della cadenza, improvvisazione.
Il controtempo è invertito e privo di ritmo, non è cadenzato, procede a strappi d’entusiasmo e pause di fatica, delusione, paura, malinconia, abulia, ozio.
Va bene così.
La cultura del controtempo è credere nella propria forza, nei propri entusiasmi e passioni:
- senza la presunzione di diffondere il verbo, l’errore dell’asceta;
- senza la presunzione di trascinare nessuno, l’errore del rivoluzionario;
- senza la presunzione di rintanartsi in se stessi, l’errore del pazzo.
Se ne esce, dal tempo e quindi dall’omologazione, con una sensazione d’accenno di libero arbitrio, sensazione che inebria.
Se praticata in coppia la cultura del controtempo esalta la coppia.
Il controtempo da carica alla coppia, che significa maggiore piacere di incontrasi e condividere.
Ci saranno allora i controtempi personali, individuali, nella coppia e i controtempi della coppia nei confronti del mondo.
Ovviamente il controtempo è praticabile solo all’interno di una coppia formata da individui, non da ex-individui annichilitisi nella monade della coppia, ma questo è un altro discorso da sviluppare in un prossimo post.
Il mare fuori stagione è fantastico! Adoro anch'io il controtempo del mare fuori stagione. Poca gente anche se non si può parlare di solitudine anche il secondo spettacolo al cinema se non proprio il primo. Ho notato però in questi anni che il cinema, a prescindere dal primo, secondo o terzo spettacolo, non fa più i pieni di una volta, sembra che interessi poco recarsi a vedere un film al cinema, quindi si trovano sale semivuote e anche se hai il numero fisso di poltrona quei pochi si siedono dove pare e piace e capita che il tuo è già occupato.
RispondiEliminaQuest'anno il primo bagno l'ho fatto lunedì scorso a follonica, non c'era nessuno.
RispondiEliminaCon questo assaggio d'estate ci sta, io invece ancora niente bagno, per farmi il bagno io in mare ci devono essere come minimo...40 gradi! :-)
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