giovedì 31 maggio 2018

Raggio verde – Letteratura, Jules Verne

Le Rayon Vert”, in francese per l’appunto il raggio verde, è il titolo di un romanzo di Jules Verne del 1882.
Romanzo che racconta delle vicende amorose della giovane Helena Campbell. 

Così Jules Verne descrive il raggio verde nel suo libro:
“… Se c’è del verde in Paradiso, sicuramente è quel verde, il vero colore della Speranza … un raggio verde, ma di un verde meraviglioso, di un verde che nessun pittore può ottenere sulla sua tavolozza, un verde di cui la natura né la varietà dei vegetali, né nel colore del mare più limpido, hai mai riportato la sfumatura!” 

Chi lo vede, dice Verne, riesce a leggere meglio nei propri sentimenti e in quelli degli altri.


mercoledì 30 maggio 2018

Raggio Verde - Memoria

Ho scoperto cosa sia il raggio verde da ragazzino, tra il 1968 ed il 1971, leggendo Verne e Salgari, poi l’ho scordato.

L’ho riscoperto al cinema molti anni dopo, nel 1986, invece che negli anni precedenti in cui studiavo fisica. 
Da quest’anno sto sempre attento ai tramonti.

Il mio primo raggio verde lo vidi proprio perché ora sapevo cosa fosse e lo stavo cercando, era il 1986, ero in Sardegna, vicino Villasimius.
Per l’esattezza stavo appollaiato sulle mura del vecchio castello, di fronte all’isolotto di S. Stefano, sul Capo Carbonara.


Dopo quella volta l’ho visto poche altre volte, sempre in autunno e in Sardegna ad eccezione di due volte ad Ischia, un lontano aprile del 1994 e questo ultimo maggio 2018.
La prima volta che lo vidi ad Ischia, dalla spiaggia dei Bagni Poseidon scoprii, parlandone a cena in una pizzeria di Forio che il raggio verde fa parte della mitologia cittadina per cui solo le persone pure di cuore, affacciate dalla terrazza della bianca chiesetta di Santa Maria del Soccorso, siano in grado di scorgere il raggio verde.

Non per questo sono diventato più abile nell’interpretazione dei miei sentimenti e di quelli degli altri, diversamente da quello che narra una vecchia leggenda scozzese ripresa da Jules Verne.

martedì 29 maggio 2018

Raggio verde

Si può scrivere di se stessi e delle proprie memorie e al contempo di cinema, letteratura, storia, leggende scozzesi e fisica, senza dimenticare la mia amata Sardegna e quel pezzetto di Ischia promosso mio personale paradiso terreste? 
Si! Si può, basta parlare del raggio verde.

Il raggio verde, costituisce uno dei fenomeni atmosferici che più colpisce l’immaginario e la fantasia dell’uomo, consiste nella visione di una debole striatura verde, che si forma sulla sommità del disco solare al tramontare o al sorgere.
In particolari condizioni, si può trasformare in un vero e proprio lampo verde.
Molti credono sia un fenomeno leggendario, invece è reale, e neanche tanto difficile da osservare.  

Il raggio verde, tecnicamente è una foto meteora, un fenomeno atmosferico luminoso con colorazioni inusuali, come il molto più noto arcobaleno, ed anche i raggi crepuscolari, gli aloni  e le corone lunari e solari, le aurore boreali, perfino i miraggi.
Se si sostasse un attimo in contemplazione, mentre il Sole tramonta o sorge, nei pochi minuti in cui si può mirare la nostra stella senza proteggerci dalla luce eccessiva, forse si noterebbe di più.


lunedì 28 maggio 2018

Generosi e Diffidenti – Come è Sagredo, Generoso o Diffidente?

Appartengo al primo tipo, sono un leader GENEROSO: 
  • sicuramente aperto e trasparente; 
  • più che ottimista, direi realista, anche se mi hanno detto che chi si definisce realista gli altri lo considerano pessimista; 
  • lavoro solo per obiettivi, fortunatamente ho avuto quasi sempre la possibilità di definirmeli, e li raggiungo, sempre, con fatica ed un incredibile profusione di energia che mi abbonda; 
  • delego molto, la maggiore soddisfazione lavorativa è che molti di quelli che hanno iniziato a lavorare con me sono diventati dirigenti e leader a loro volta; 
  • non sono invidioso dei successi altrui;
  • sono circondato da DIFFIDENTI, con loro tendo ad evitare gli scontri frontali cercando piuttosto di aggirarli, nei loro confronti non ho rancori o risentimenti, semplicemente una elevatissima disistima.

Come vuole la regola ho fatto meno carriera di qualcuno dei DIFFIDENTI che mi hanno circondato. 
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Non m’importa, rimango soddisfatto che quando si tratta di relazioni esterne e non solo di dinamiche interne all’organizzazione, sono la persona ritenuta autorevole, quella con la quale gli esterni ritengono valga la pena di parlare.



domenica 27 maggio 2018

Generosi e Diffidenti – Quali le loro Intenzioni ed atteggiamenti?

La cosa curiosa è che entrambi, GENEROSI e DIFFIDENTI, pensano di essere animati dalle migliori intenzioni. 
Sentendoli esporre le loro idee e i loro programmi, non è possibile capire come si comporteranno. 
Entrambi dicono che ammirano chi ha iniziativa, che vogliono l'espansione e lo sviluppo. 
In realtà differiscono come carattere, mentalità, atteggiamento: verso la vita, gli altri, il mondo. 

I GENEROSI sono ottimisti e sicuri di se stessi. 
Sono orientati al risultato. 
Vogliono veder nascere cose buone e belle e si realizzano identificandosi con chi le crea. 


Il DIFFIDENTI, invece, sono invidiosi.
Hanno prima di tutto bisogno di affermare se stessi, il proprio valore. 
Vogliono dimostrare che sono loro, e non gli altri, a essere bravi, attivi, indispensabili. 
Per questo li frenano, li controllano, li paralizzano, gli altri, i GENEROSI.



sabato 26 maggio 2018

Generosi e Diffidenti – Quali le conseguenze del loro agire?

Tra GENEROSI e DIFFIDENTI si evidenzia una profonda differenza di mentalità e di valori, indipendentemente dal compito loro assegnato. 
Se si incarica un DIFFIDENTE di andare ad aiutare un suo collega in difficoltà, il risultato sarà catastrofico perché incomincerà a fargli delle critiche e a creargli degli ostacoli. 
Al contrario, se si manda un GENEROSO a frenare un collega molto attivo, c'è il “pericolo” che lo aiuti a fare meglio. 

Questi due tipi umani, GENEROSI e DIFFIDENTI, esistono in tutti gli ambienti e a tutti i livelli delle gerarchie lavorative. 
Quando sono messi in posizione di comando, i GENEROSI scelgono i collaboratori più intraprendenti e più attivi. 
Danno loro ampie responsabilità e li lasciano agire. 
Sotto la loro guida le organizzazioni prosperano, gli uffici fioriscono. 
I DIFFIDENTI, invece, scelgono solo persone che ubbidiscono ciecamente e fanno di tutto per ostacolare chi si dimostra indipendente e autonomo. 

Nonostante i GENEROSI siano per quanto detto leader infinitamente migliori dei DIFFIDENTI, sono spesso i secondi a radicarsi nelle posizioni di potere. 
Perché rosicchiano a poco a poco le posizioni degli altri, lavorano per ostacolarli, per farli fallire e trovano sempre degli alleati fra gente del loro stesso tipo. 
E producono ogni tipo di conseguenze negative.


venerdì 25 maggio 2018

Generosi e Diffidenti – Chi sono?

Ho lavorato 39 anni, considerando anche i 4 in cui lavoravo per la Treccani, parallelamente agli studi universitari di Fisica, in tutti questi anni, nelle diverse organizzazioni in cui mi sono collocato, ho sempre incontrato e mi sono misurato con due tipi di persone radicalmente diverse:
  • i GENEROSI;
  • i DIFFIDENTI. 

I GENEROSI sono persone aperte. 
Quando incontrano qualcuno che sta facendo, inventando, costruendo, provano un'istintiva simpatia. 
Si mettono dalla sua parte e cercano di semplificargli l'azione. 
Lo aiutano, sono felici dei risultati raggiunti e del suo successo. 

I DIFFIDENTI, diversamente, sono persone intimamente sospettose. 
Di fronte a un innovatore provano un immediato bisogno di controllarlo, di porgli dei limiti, delle regole. 

Interferiscono continuamente con il suo lavoro e finiscono col paralizzarlo. 



mercoledì 23 maggio 2018

La vita è come una giostra – 2018, Alla mostra HUMAN + per scoprire l’Euthanasia Coaster

Ho visto la presentazione del progetto di Julijonas Urbonas dell’Euthanasia Coasteralla mostra HUMAN+ presso la Science Gallery di Dublino nel giugno 2011, di cui ho recentemente preso visione nella versione itinerante della mostra al Palazzo delle Esposizionia Roma.


La mostra HUMAN+ Il futuro della nostra specieesplora i potenziali percorsi futuri dell’umanità considerando le implicazioni delle tecnologie passate ed emergenti. 

Cyborg, superuomini e cloni, evoluzione o estinzione? 

Che cosa vuol dire essere un uomo o una donna oggi? 

E come sarà tra cent’anni? 

Dobbiamo continuare ad accettare che la nostra mente, il nostro corpo e la nostra vita quotidiana vengano modificati o esistono confini che non andrebbero superati?


Il simbolo “+” in Human+ comporta un orientamento positivo per il futuro della nostra specie. 

Qual è questo orientamento? 

Per gran parte del Novecento, il progresso è stato misurato in base all’incremento di velocità ed efficienza, maggiore rapidità significava più forza ed efficacia, ma tutto ciò ha avuto come effetto collaterale quello di renderci più grassi, più tristi e più stanchi. 

C’è bisogno di ridefinire il concetto di riuscita.


’Euthanasia Coaster cerca di trovare una risposta prendendo in esame problematiche come il sovraffollamento globale e l’aumento dell’aspettativa di vita. 

Vedendo nel futuro un aumento della disoccupazione, dei problemi sociali, delle malattie degenerative e di problematiche senili, queste montagne russe si “offrirebbero” come alternativa ad una vita di malcontento e sofferenza.


martedì 22 maggio 2018

La vita è come una giostra – 2018, il racconto di Sabbia

Ai piedi dell’Euthanasia Coaster 



Ci avevo pensato, più di qualche volta, quando ancora desideravo vivere: "E se non avessi uno scopo, se la vita non mi sembrasse degna d'essere vissuta, se mi sembrasse più pesante vivere che morire?". Avrei potuto valutare l'idea del suicidio. 

Non avrei avuto il coraggio di buttarmi nel fiume per annegare: sapevo che sarei tornata a galla perché mio malgrado sapevo nuotare. Neppure gettarmi dall'alto del viadotto mi sembrava fattibile: nella caduta avrei avuto troppo tempo per pensare e ricordare il passato, avrei sofferto troppo. Mi serviva qualcosa che occupasse la mente col pensiero di quanto deciso e col procedimento per attuarlo, senza avere l'occasione di chiedermi se non potesse essere più saggio continuare a vivere. 

Mi sarebbe piaciuto avere il potere dei vecchi pellerossa, vero o fantomatico che fosse: andare nel folto della foresta e concentrarmi sul pensiero: "Oggi è un buon giorno per morire", fissare la mente sulla necessità e spingerla giù fino al buio totale, fino a non riuscire più a fare ritorno. Come se si fosse trattato di una meditazione tanto profonda da non potermi appellare a nessuna guida e a nessun desiderio di tornare sui miei passi. 

Come facessero gli anziani pellerossa non so esattamente e non so neppure se lo facessero per davvero; ma penso di sì, che sia possibile. Ci ho provato. Non è poi così difficile spingere il cervello nel nero fino a trasformarlo in un pugno con le dita contratte da uno spasmo, che le riduce a barre di piombo.
Ci ho provato; ma sono tornata sempre in dietro, appena prima di quello che immaginavo potesse essere il primo livello del non ritorno. Mi bastava sapere che, il giorno che avessi deciso davvero, avrei potuto andarmene senza disturbare nessuno, senza doverci spendere del denaro, perché mi sembra folle dover pagare per avere il diritto di morire. Avrei potuto svanire senza chiedere a nessuno di assumersene l'onere o la responsabilità, in maniera efficace quanto semplice e pulita. 

Avevo pensato anche ad un'altra possibilità, nel caso che avessi voluto fare un po' di scena e provare un ultimo brivido: dovevo trovare un rettilineo che finisse con una curva a gomito, e un albero proprio sulla curva. Avrei accelerato lungo rettilineo fino a superare tutti i limiti di velocità, sfidando tutti i divieti subiti in vita. Arrivata alla curva avrei evitato di sterzare in modo da schiantarmi contro l'albero e trasformare l'automobile in un ammasso fortemente compresso, con me dentro, uccisa dalla velocità e dalla forza d'inerzia fermate violentemente dal tronco dell'albero. Anche in questo caso non sarebbe stato particolarmente dispendioso: un pieno di benzina e un'automobile completamente distrutta. 

Entrambi questi modi però avevano un difetto: mancavano di ufficialità, non sarebbero stati riconosciuti e avallati dalla legge, avrebbero creato dei problemi, non a me; ma a chi mi fosse sopravvissuto e avesse dovuto accertare le circostanze della mia morte.

Ci voleva un sistema pulito, che comprendesse anche tutti gli accertamenti medici atti a certificare la morte, senza ulteriori formalità.

Insomma doveva trattarsi di un pacchetto completo, comprensivo di ogni tutela legale per il mio corpo, a morte avvenuta.

Purtroppo poesia e legalità si elidono a vicenda, quindi qualsiasi romanticismo legato all'idea della morte non aveva più ragione di essere, sostituito da una forma di correttezza politica e piena responsabilità post mortem nei confronti della società.

Per questo penso che la scelta dell'Euthanasia Coaster sia logicamente sensata: il corpo residuo non è contaminato da sostanze tossiche inquinanti, non si inducono disturbi o scomode alterazioni nelle normali attività altrui, il risultato è garantito, gli accertamenti atti a verificare la morte sono compresi nel pacchetto "turistico". I costi probabilmente si ridurranno col tempo, quando la giostra funzionerà a pieno regime.
Immagino che, mentre il vagoncino risalirà il binario a cremagliera, l'anziano pellerossa, che è in me, mi compiangerà rattristato; ma il pilota, che avrebbe voluto sfidare tutti i limiti di velocità, durante la folle discesa sarà finalmente soddisfatto. Peccato che alla fine del percorso non potrà raccontarlo a nessuno!

Perché decidere di affrontare questo passaggio, di salire sul vagoncino e arrivare a fine corsa?

Non c'è un perché valido in assoluto. 

Spero non ci sia mai altrimenti ci si sentirebbe costretti a salirci tutti e non ci sarebbe più la libertà di scegliere come morire. 

Temo l'eventualità di un'obbligatorietà dell'eutanasia più della morte stessa, più di una morte lenta e sofferta.

Mi auguro che sia concessa a tutti almeno la libertà di morire come si preferisce. Non è detto che si debba per forza preferire di morire così.

lunedì 21 maggio 2018

La vita è come una giostra – 2015, Il film H Positive per capire l’Euthanasia Coaster

Ancora meglio del mio racconto racconta l’esperienza dell’Euthanasia Coaster il cortometraggio del 2015 H Positive di Glenn Paton.

Un unico protagonista, ricco, raffinato, famoso, segnato da una malattia incurabile. 

I soldi non possono guarire, ma almeno possono permettere di imporre la propria volontà sulla modalità di morte. 

Così la pensa il protagonista del film quando progetta il suo modo teatrale e incredibile per andarsene decidendo di finanziare la costruzione dell’Euthanasia Coaster.



Il cortometraggio non solo riprende il progetto, realizzandolo almeno su pellicola, ma segue tramite la regia ed il montaggio l’andamento delle montagne russe. 

Una lenta sequenza iniziale, in cui il protagonista enuncia la propria filosofia di vita, quasi una lenta salita fino all’apice. 



Poi un montaggio più incalzante ed un paio di strepitosi artifici grafici, fa prevedere il seguito. 

Si giunge alla cima della salita, lo spartiacque fra vita e morte, ed inizia la discesa, frenetica, galoppante, anche quando interviene il rallentatore. 



Il montaggio diventa martellante, si sovrappongono immagini, impressioni, ricordi, fino a diventare pura apposizione d’immagini, quando l’ipossia sopraggiunge.

Si giunge al termine senza fiato, fino alla sequenza finale, che permette nuovamente di respirare, come alla fine di una meravigliosa ed emozionante montagna russa.

Guardatelo!




domenica 20 maggio 2018

La vita è come una giostra – 2058, L’Euthanasia Coaster, macchina di morte

Con il supporto scientifico di fisica, chimica e medicina ancora oggi in molti stati si uccide legalmente le persone in nome della giustizia con metodi atroci, iniezioni letali, sedia elettrica, fucilazioni, impiccagioni, senza scordare nel passato ghigliottina e garrota. 


L’Euthanasia Coaster offrirebbe una scelta, una soluzione finale per un essere umano sofferente (fisicamente o mentalmente).


Oggi l’eutanasia volontaria è legale in Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Svizzera, e gli stati USA di Oregon e Washington, perché non costruire in questi paesi una bella Montagna Russa dell’Eutanasia?


L’Euthanasia Coaster non sarebbe altro che un’ennesima macchina di morte che richiede solo di essere istituzionalizzata alla pari di quelle già in uso.


Andiamo a leggere il resoconto di un’esperienza raccontata in soggettiva fatta sull’Euthanasia Coaster.

La mia, che fisso simbolicamente a quando avrò 100 anni, nel 2058, senza avere realmente la volontà di perseverare così a lungo.



sabato 19 maggio 2018

La vita è come una giostra – 2058, L’Euthanasia Coaster, un’intelligente provocazione scientifica

Questo progetto, volutamente provocatorio, è stato studiato in modo scientifico, non è una semplice trovata per stupire. 

Si basa sui dati reali degli esperimenti e addestramenti in cui i corpi dei piloti vengono sottoposti a simili forze per pochi secondi. 

La macchina per l’eutanasia in forma di montagna russa, nelle intenzioni di Julijonas Urbonas, è insieme uno studio sugli effetti della gravità sul corpo umano e una possibile, futura variazione degli apparecchi per la morte assistita, che potrebbe inoltre garantire l’efficace dipartita di più soggetti contemporaneamente. 


Da soli sul trenino, cinture allacciate, pronti per l’ultimo, estremo sballo.

È evidente l’umorismo provocatorio che sta alla base del progetto, l’iconoclasta sovrapposizione di temi opposti come l’eutanasia e l’industria del divertimento.

Con la sua montagna russa suicida, che provoca assieme ilarità e repulsione, Urbonas riesce a stimolare una riflessione profonda su un’incredibile varietà di temi: 

  • sul futuro, 
  • sull’etica, 
  • su quale sia il nostro concetto di morte, 
  • su come possa evolversi, 
  • sulla ricerca odierna del divertimento estremo …

Proponendosi anche come un’ironica, macabra variazione del vecchio detto:

La vita è soltanto un giro di giostra.


venerdì 18 maggio 2018

La vita è come una giostra – 2058, Racconto il mio ultimo giro sull’Euthanasia Coaster …

Era tempo che non salivo su una montagna russa …

Mi ha spaventato e divertito da bambino.

Mi ha intrigato da studente di fisica, per le relazioni che esprime tra l’uomo che la cavalca, l’immaginifico percorso che dipana, l’onnipresente forza che tiene ancorati a terra che muove il tutto.

Mi ha continuato ad emozionare da adulto …




Ed ora, dopo 40 ipotetici anni da quel lontano 2018 in cui ho scoperto il progetto dell’Euthanasia Coaster, in questo 2058 in cui sono ormai centenario, anno in cui finalmente hanno costruito l’Euthanasia Coaster, la montagna russa definitiva, racconto il mio ultimo giro …

Seduto sul carrello monoposto, rivestito della speciale tuta che consente il monitoraggio dei miei parametri vitali, imbrigliato al sedile, sono lentamente trasportato in cima alla torre. 

Ci vuole un po', la salita dura circa mezzo chilometro! 

Ho un paio di minuti per contemplare la mia decisione, la mia vita in retrospettiva. 

L'ascesa lenta, intensifica la mia percezione dell'altezza raggiunta e del limitato tempo che mi rimane. 

Il minimo movimento del carrello mi produce palpitazioni, mette alla prova la mia decisione ... 

Ho tempo per le ultime parole di addio, da lanciare via radio ad un improbabile ascoltatore, o registrare per qualche erede, ci rinuncio, meglio semplicemente per godermi la vista esilarante del paesaggio circostante. 

Realizzo che gli oggetti sul terreno tutt’intorno si stanno riducendo, m’adatto all’altezza.
Sono in cima!


Questa lunga e lenta salita non mi ha fatto cambiare idea, sono pronto per il mio ultimo viaggio, il mio ultimo sprazzo di salite e discese, simboli astratti della vita che ho vissuto.

Mi rilasso e premo il pulsante, FALL, caduta, la definitiva resa alla gravità!

Solo ora che inizio a scendere mi rendo conto che il mio corpo girerà intorno al cuore mentre cado nell’elemento vorticoso del tracciato delle montagne russe, mentre il mio cuore rimane grosso modo in linea con il centro della traiettoria. 

Coreografica danza gravitazionale! 

La raffica di vento furioso in faccia, la pelle d'oca, la sospensione del respiro, le vertigini, sono le concomitanti esperienze anestetizzanti che mi preparano per la parte fatale della mia ultima corsa sulle montagne russe.

Sto già cadendo ad una velocità prossima alla velocità finale, quella che, come la fisica m’ha insegnato, si raggiunge quando la forza della resistenza dell'aria diventa uguale alla forza di gravità, annullando così l'accelerazione. 

Sento il mio corpo sostenuto da un cuscino d'aria. 

Subito dopo il punto di massima velocità, la pista si raddrizza dolcemente in avanti, entrando nel primo anello, una strana forma a palloncino che mi fa fare un giro completo di 360 gradi, invertendo completamente la mia posizione d’illuso pilota nella parte più alta. 


La forza centrifuga guida il carrello verso l'alto, sono letteralmente inchiodato, le mie chiappe sono premute contro il sedile, fortunatamente ergonomico, così fortemente che tutto il mio corpo è pressoché immobilizzato. 

Le guance ed i tessuti della mia faccia crollano, scendono penzolando, come se improvvisamente avesse ceduto il connettivo che li sorregge, sembro invecchiare notevolmente, velocemente, fortunatamente non ho uno specchio in cui guardarmi. 

La respirazione mi richiede una grande fatica, le costole e gli organi interni sono tirati verso il basso, fortuna che non ho mangiato, mi si svuota l'aria dai polmoni. 

La mia vista si offusca, prima perde colore sfumando nel grigio, poi mi si riduce progressivamente il campo visivo al solo centro, come fossi in un tunnel, un effetto dissolvenza, poi scompare completamente.

Sono nel nero assoluto!

M’accorgo solo ora di non sentire più nessun rumore, concentrato sulla vista, non ho capito che allo stesso tempo s’è dissolto anche l'udito. 

Sono nel silenzio assoluto!


Sentimenti contrastanti insorgono in me, disorientamento, ansia, confusione, soprattutto, euforia, come fossi drogato, come quel giorno, in cui bambino salii sulla mia prima montagna russa.

Il mio corpo è ormai completamente molle, cieco e sordo.

Vivo vividi bizzarri sogni, come fossi in un labirinto e non essere in grado di uscire, come fluttuassi in uno spazio bianco, come non sapessi chi sono, perché sono qui …

Sono ormai privo di sensi, poiché questa forza dieci volte maggiore di quella che conosco nel quotidiano, m’ha scaricato il sangue verso gambe e piedi, producendomi una deficienza di ossigeno nel cervello. 

Se fossi più resistente alle alte forze di gravità rispetto alla maggior parte delle persone, non lo sono, il tutto sarebbe rimandato al secondo loop che farebbe sicuramente il suo lavoro rendendomi finalmente incosciente.

Questo soffocamento cerebrale mi uccide, velocemente, in modo indolore. 

Il resto della corsa, sei o cinque anelli dei sette, procede con il mio corpo intorpidito, la mia coscienza svanita, assicurando che assieme al viaggio, al giro su questa incredibile montagna russa, finisca la mia vita. 


Muoio, o, più precisamente, il mio cervello muore, di completa privazione di ossigeno.

La tuta di biomonitoraggio controlla l’avvenuto decesso.


Ho raccontato oggi la mia esperienza perché è impossibile che possa farlo quando la dovessi provare.

La vita è come una giostra – 2010, Con Julijonas Urbonas per l’ultimo giro

Quando si pratica l’eutanasia non viene celebrato alcun rito speciale e alla morte della persona non viene dato nessun significato particolare, riducendola a procedure legali e una preparazione psicologica. 

È come in quel caso la morte venga separata dalla nostra vita culturale … 

Se l’eutanasia è già legale, perché non renderla più significativa?



Sono le parole di Julijonas Urbonas, il progettista dell’Euthanasia Coaster, che ben riassumono l’idea lodevole che mi ha tanto intrigato, quella che sta alla base della Montagna Russa dell’Eutanasia, mai potrà esserci montagna russa  più definitiva di così!



Urbonas afferma che poiché la morte, in qualunque modo essa giunge, è un evento (seppur triste) da valorizzare con cerimonie e atti doverosi, l’eutanasia oggi viene trattata silenziosamente e facilmente liquidata con semplici atti di ufficio.

Pertanto, essendo legale in molto stati, perché non dare anche lei un valore pari, se non superiore agli altri tipi di morte?


giovedì 17 maggio 2018

La vita è come una giostra – 2010, La sorpresa finale …

A causa della forte forza centrifuga (10g) generata dai giri della morte della seconda fase di questa montagna russa definitiva, il sangue defluisce verso le gambe, causando una mancanza di afflusso di ossigeno al cervello.



Questo significa una prolungata ipossia cerebrale, cioè la mancanza dell’ossigeno necessario al cervello, con conseguente perdita di coscienza già dopo il  primo anello … 

In fatti l’accelerazione di 10 volte maggiore della forza di gravità (10g), di gran lunga più potente di quella che si prova anche sugli aerei militari più veloci, è sufficiente a far perdere coscienza anche ai più esperti astronauti e piloti.



Se il cervello non riceve abbastanza sangue da soddisfare i suoi bisogni metabolici, la carenza di ossigeno può portare alla morte del tessuto cerebrale, ovvero all'ictus ischemico …

Una durata di 60 secondi, come quella volutamente progettata, darebbe la garanzia di morte anche per quei soggetti che potessero rivelarsi fisicamente più resistenti della media.

Alla fine della serie di 7 giri, mai il termine “giro della morte” è stato più appropriato, i sistemi di monitoraggio constaterebbero l’avvenuta morte cerebrale di questo ultimo e definitivo giro sulle montagne russe.



L’enorme montagna russa definitiva, non a caso chiamata Euthanasia Coaster,è stata infatti concepita per provocare la morte dei passeggeri, con “eleganza ed euforia”, in modo che chiunque voglia porre fine alla propria vita abbia come alternativa alla triste iniezione finale/fatale qualcosa di incredibilmente emozionante.


mercoledì 16 maggio 2018

La vita è come una giostra – 2010, La seconda fase, più centrifugati di sempre!

I 360 km orari di velocità massima raggiunta al termine della prima fase sono esattamente la velocità necessaria ad affrontare l’inizio della seconda, costituita da 7 successivi giri della morte, ad una certa e voluta accelerazione.

Il diametro dei giri della morte, si riduce ad ogni giro successivo, cosa che permette di mantenere costante l’accelerazione, pur rallentando la velocità come in tutte le montagne russe, per tutti i 60 secondi che dura la corsa “avvitata” nei 7 giri a testa, alternativamente, in giù e sù.

La seconda fase, dopo una svolta a destra, si conclude con un rettilineo al termine del quale il vagone monoposto posti che trasporta il passeggero si ferma.



Tutto qui? 

Si certo, potente, divertente, adrenalinico, estremo, ma la sorpresa finale dove è?

Per la sorpresa finale è necessario spiegare che l’accelerazione che si prova stando seduti sul vagoncino monoposto, dovuta alla forza centrifuga che agisce su un corpo che si muove di moto circolare, è di 10g.



Che significa 10g?

In Fisica g indica l’accelerazione di gravità, pari a 9,8 metri per secondo al quadrato, 10g corrisponde ad una accelerazione 10 volte più grande di g, ovvero 98 metri al secondo al quadrato.

Che vuol dire, fisica a parte?

ignifica che se da fermo il passeggero pesa 60 chili (sottoposto all’accelerazione di gravità, pari a g), sulla montagna russa, mentre percorre i 7 giri della morte della seconda fase della corsa (sottoposto all’accelerazione della forza centrifuga, pari a 10g),  arriva a pesare 10 volte tanto 600 chili.


La sorpresa finale è quella che si genera a causa di questa forte forza centrifuga …

martedì 15 maggio 2018

La vita è come una giostra – 2010, La prima fase, più alti e veloci di sempre!

Secondo il progetto della montagna russa definitiva, l’euforico e adrenalinico percorso delle vetture mono passeggero si compone di due fasi.


La prima fase si avvia con il passeggero seduto su un carrello monoposto, tale per un motivo che diverrà evidente successivamente, attaccato per sicurezza a una serie di dispositivi per il monitoraggio delle attività cerebrali.

Il carrello è trasportato lentamente, in circa 2 minuti, su una ripida salita sino alla cima di una torre di 510 metri di altezza. 

Da questo punto di maggiore altezza, il carrello precipita elegantemente in caduta libera di 500 metri, in pochissimi secondi, raggiungendo i 360 km orari, inducendo euforia nel passeggero.


Oltre tre volte e mezzo l’altezza della montagna russa attualmente più alta, il Kingda Kae oltre una volta e mezzo più veloce.

La prima fase si conclude con questo sopraggiunto senso di esaltazione. 



Sono altezza e velocità, che rendono questa montagna russa quella definitiva?

L’essere più alta e più veloce?

E se domani ne costruissero una ancora più alta?

No, non è questo che serve a definirla definitiva, lo rimarrebbe anche se ne costruissero una alta un chilometro!


Quello che la rende definitiva è la seconda fase del percorso che riserva una grande sorpresa finale.