Era tempo che non salivo su una montagna russa …
Mi ha spaventato e divertito da bambino.
Mi ha intrigato da studente di fisica, per le relazioni che esprime tra l’uomo che la cavalca, l’immaginifico percorso che dipana, l’onnipresente forza che tiene ancorati a terra che muove il tutto.
Mi ha continuato ad emozionare da adulto …
Ed ora, dopo 40 ipotetici anni da quel lontano 2018 in cui ho scoperto il progetto dell’Euthanasia Coaster, in questo 2058 in cui sono ormai centenario, anno in cui finalmente hanno costruito l’Euthanasia Coaster, la montagna russa definitiva, racconto il mio ultimo giro …
Seduto sul carrello monoposto, rivestito della speciale tuta che consente il monitoraggio dei miei parametri vitali, imbrigliato al sedile, sono lentamente trasportato in cima alla torre.
Ci vuole un po', la salita dura circa mezzo chilometro!
Ho un paio di minuti per contemplare la mia decisione, la mia vita in retrospettiva.
L'ascesa lenta, intensifica la mia percezione dell'altezza raggiunta e del limitato tempo che mi rimane.
Il minimo movimento del carrello mi produce palpitazioni, mette alla prova la mia decisione ...
Ho tempo per le ultime parole di addio, da lanciare via radio ad un improbabile ascoltatore, o registrare per qualche erede, ci rinuncio, meglio semplicemente per godermi la vista esilarante del paesaggio circostante.
Realizzo che gli oggetti sul terreno tutt’intorno si stanno riducendo, m’adatto all’altezza.
Sono in cima!
Questa lunga e lenta salita non mi ha fatto cambiare idea, sono pronto per il mio ultimo viaggio, il mio ultimo sprazzo di salite e discese, simboli astratti della vita che ho vissuto.
Mi rilasso e premo il pulsante, FALL, caduta, la definitiva resa alla gravità!
Solo ora che inizio a scendere mi rendo conto che il mio corpo girerà intorno al cuore mentre cado nell’elemento vorticoso del tracciato delle montagne russe, mentre il mio cuore rimane grosso modo in linea con il centro della traiettoria.
Coreografica danza gravitazionale!
La raffica di vento furioso in faccia, la pelle d'oca, la sospensione del respiro, le vertigini, sono le concomitanti esperienze anestetizzanti che mi preparano per la parte fatale della mia ultima corsa sulle montagne russe.
Sto già cadendo ad una velocità prossima alla velocità finale, quella che, come la fisica m’ha insegnato, si raggiunge quando la forza della resistenza dell'aria diventa uguale alla forza di gravità, annullando così l'accelerazione.
Sento il mio corpo sostenuto da un cuscino d'aria.
Subito dopo il punto di massima velocità, la pista si raddrizza dolcemente in avanti, entrando nel primo anello, una strana forma a palloncino che mi fa fare un giro completo di 360 gradi, invertendo completamente la mia posizione d’illuso pilota nella parte più alta.
La forza centrifuga guida il carrello verso l'alto, sono letteralmente inchiodato, le mie chiappe sono premute contro il sedile, fortunatamente ergonomico, così fortemente che tutto il mio corpo è pressoché immobilizzato.
Le guance ed i tessuti della mia faccia crollano, scendono penzolando, come se improvvisamente avesse ceduto il connettivo che li sorregge, sembro invecchiare notevolmente, velocemente, fortunatamente non ho uno specchio in cui guardarmi.
La respirazione mi richiede una grande fatica, le costole e gli organi interni sono tirati verso il basso, fortuna che non ho mangiato, mi si svuota l'aria dai polmoni.
La mia vista si offusca, prima perde colore sfumando nel grigio, poi mi si riduce progressivamente il campo visivo al solo centro, come fossi in un tunnel, un effetto dissolvenza, poi scompare completamente.
Sono nel nero assoluto!
M’accorgo solo ora di non sentire più nessun rumore, concentrato sulla vista, non ho capito che allo stesso tempo s’è dissolto anche l'udito.
Sono nel silenzio assoluto!
Sentimenti contrastanti insorgono in me, disorientamento, ansia, confusione, soprattutto, euforia, come fossi drogato, come quel giorno, in cui bambino salii sulla mia prima montagna russa.
Il mio corpo è ormai completamente molle, cieco e sordo.
Vivo vividi bizzarri sogni, come fossi in un labirinto e non essere in grado di uscire, come fluttuassi in uno spazio bianco, come non sapessi chi sono, perché sono qui …
Sono ormai privo di sensi, poiché questa forza dieci volte maggiore di quella che conosco nel quotidiano, m’ha scaricato il sangue verso gambe e piedi, producendomi una deficienza di ossigeno nel cervello.
Se fossi più resistente alle alte forze di gravità rispetto alla maggior parte delle persone, non lo sono, il tutto sarebbe rimandato al secondo loop che farebbe sicuramente il suo lavoro rendendomi finalmente incosciente.
Questo soffocamento cerebrale mi uccide, velocemente, in modo indolore.
Il resto della corsa, sei o cinque anelli dei sette, procede con il mio corpo intorpidito, la mia coscienza svanita, assicurando che assieme al viaggio, al giro su questa incredibile montagna russa, finisca la mia vita.
Muoio, o, più precisamente, il mio cervello muore, di completa privazione di ossigeno.
La tuta di biomonitoraggio controlla l’avvenuto decesso.
Ho raccontato oggi la mia esperienza perché è impossibile che possa farlo quando la dovessi provare.