La cultura
dello slash si propone come cultura dialettica, cultura dell'unione e della
contrapposizione, in cui si privilegia il confronto e l'integrazione delle
diversità.
Simbolo di
questa impostazione è lo slash : "/".
Termine di
provenienza inglese, con il significato letterario di taglio obliquo in accordo
con il bel suono onomatopeico, in italiano scade in un ridicolo barretta che mi
rifiuto di usare.
Lo slash è
già presente sulla vecchia macchina da scrivere Olivetti Lettera 22 che mi ha
lasciato mio nonno, ma la sua fortuna è molto più recente.
Inizialmente
confinato all'interno di stili letterari di tipo giuridico-commerciale, posto
tra la congiuntiva "e" e la disgiuntiva "o", a formare
l'estetico "e/o", si è successivamente diffuso nell'informatica
insieme al suo alter ego il backslash, "\", assente sull'Olivetti di
mio nonno.
In questo nuovo contesto è usato principalmente ad intercalare le
diverse voci che compongono i nomi dei luoghi dove, nei computer, si
memorizzano i documenti, tecnicamente "pathname", ad esempio:
HardDisk/Articoli/questo articolo.
La cultura
dello slash significa unione e contrapposizione tra avventura nel moderno
(Tecnologia) e rivoluzione sociale (Innovazione), cioè Tecnologia e/o
Innovazione; l'amletica scelta tra congiuntiva e disgiuntiva non può che
ricadere sullo slash in modo che il tutto diventa Tecnologia/Innovazione.
Nella visione
più ampia il simbolo dello slash assurge, liberandosi dell'essere semplice
acronimo del buro- cratico e/o, al ruolo di ponte dialettico tra cultura
artistico-umanistica e scientifico-tecnologica.
La cultura
dello slash diviene il luogo deputato all'incontro e vicendevole contaminazione
di luoghi e culture differenti, per la costituzione di una comunità sociale che
fornisca ad ognuno la possibilità di ricostruire il senso della propria
identità con un reiterato utilizzo dello slash.
Quello che
voglio riaffermare è che la dialettica dello slash ci permette di confrontarci
con tante altre realtà, evitandoci di aggirarle ed ignorarle.
All’interno
della cultura dello slash è incluso l'accorato appello del Fare Informazione
che, al di là del significato in esso racchiuso, esprime una energia, una
volontà di comunicazione che oggi sento essere merce rara.
Fare
Informazione è un dictat che ben si sposa con la mia convinzione che fare
Cultura significa esportare agli altri, facendo didattica, i temi che ci
avvincono, arricchendoli delle nostre elucubrazioni.
Questa
attività di trasferimento, che oggi è usueto chiamare know-how transfer,
rappresenta l'unico valore sociale intrinseco al concetto stesso di Cultura.
Solo questa
valenza, solo lo scambio, ovviamente interattivo, può conferire dignità agli
interessi di un individuo, qualunque essi siano.
Per questo
detesto gli intellettuali arroccati dietro le loro fortificazioni linguistiche,
dietro i loro vocabolari impossibili, all'interno di elitari circoli di
comunicazione.
Per questo
trovo ridicoli i superspecialisti, così profondi nel loro importantissimo e
limitatissimo campo, così ghettizzati dal loro sapere, così incapaci di
percepire il benché minimo legame associativo con un qualcosa di a loro ignoto.
Per questo
non amo i geni isolati, accartocciati su se stessi nella loro incapacità di
comunicare; i cerebrolesi, pur capaci di mirabili costruzioni di pensiero, ma
privi di quegli strumenti, innanzitutto umani e caratteriali, che gli
permettano di condividere, facendosi capire, la loro creatività intellettuale.
Le torri di
avorio, isolate ed inaccessibili, del sapere non servono, tutto quello che ho
studiato e di cui mi sono interessato, tutta la mia passione per il Moderno, è
stato incessantemente trasferito a coloro che mi erano intorno, sia che fossi
in una aula, indifferentemente dall'una o dall'altra parte di una cattedra, che
in mezzo ad amici.
Sono convinto
che tutto si possa trasferire e che si possa far capire qualunque concetto, a
qualsiasi livello di astrazione, ovviamente questo richiede un serio impegno,
sia da parte del docente che del discente, ho dei luminosi esempi di entrambi
questi impegni.
Questa
volontà di trasferimento non basta da sola ad assicurare l'export. Bisogna
porre l'accento sulla comunicazione che veicola il trasferimento.
Questa
necessità comunicativa ci impone di costruirci i necessari mezzi per attuarla,
i diversi linguaggi, bisogna allora saper scrivere, ma soprattutto parlare
chiaramente in consessi pubblici, rifuggendo quella inutile prosopopea
culturale che dietro una prosa aulica fugge il significato.
La libertà di
comunicare è indissolubilmente legata alla nostra originalità di pensiero,
finché daremo un valore aggiunto al pensiero di altri non potrà esistere
copyright a limitarci o sospetto di plagio a svilirci.
Della cultura
dello slash infine apprezzo l'incontenibile entusiasmo necessario per essere
protagonisti partecipi; è solo con un entusiasmo simile che si può provare
quell'emozione di pensare che è un tutt'uno con il comunicare.
Pensare
significa infatti interagire con gli altri per appropriarsi e fare propri altri
pensieri, tutto il resto è vuota masturbazione mentale.
Coerente in
questo senso l'invito implicito nella descrizione di qualsiasi idea o documento
testuale, audio o video, in luogo della solita avvertenza inerente la non
riproducibilità, per tramite di ogni mezzo, dei loro contenuti, si dovrebbe
leggere:
"La trasmissione, riproduzione, utilizzo di qualsiasi immagine o scritto è altamente consigliata a tutti coloro che si sentono affini alle tesi sostenute".
Le mie esperienze didattiche si sono sempre rivolte a platee non preparate nei confronti dei temi che di volta in volta andavo a trattare. Per questo i miei corsi e seminari di fisica, storia e filosofia della scienza, logica, informatica, intelligenza artificiale, management, si sono svolti all'interno delle facoltà più distanti da quelle strettamente tecnico-scientifiche: Lettere, Filosofia, Medicina, Biologia. Lo stesso è accaduto all'in- terno delle Amministrazioni in cui i temi trattati avevano solo deboli legami con la formazione amministrativa. La cosa più incredibile è stata l'esperienza all'interno delle caserme durante il periodo di leva. Qui l'aula diveniva la camerata, ogni momento libero dava origine ad una domanda, la domanda ad una vera e propria estemporanea lezione. L'esperienza più bella per la difficoltà di trovare l'adeguato strumento linguistico; la più bella per la spontaneità con la quale il desiderio di sapere veniva espresso, senza alcuna reticenza per la propria confessata ignoranza; la più bella per la dignità dimostrata da quei giovani soldati ai limiti dell'analfabetismo, la cui viva intelligenza gli permetteva di farsi accendere di entusiasmo nei confronti di cose ben distanti dalle loro pratiche quotidiane di braccianti agricoli. Nei confronti di tutti quei soldati ho un debito enorme, per la bellezza delle loro domande, per la massima esemplificazione che essi davano all'imperativo "Fare Informazione". Fa informazione infatti non solo chi sa dare risposte, citare fatti, ma anche e soprattutto chi sa fare quelle domande che impediscono il tramonto del significato, che né permettono la sopravvivenza perfino all'interno delle immaginabili dinamiche goliardiche di una camerata di soldati di leva
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