Ho imparato a prendere decisioni che ero ancora adolescente.
Per carità niente di troppo difficile, ma certamente qualcosa che mi ha distinto dalla massa di confusi coetanei, incapaci anche delle decisioni più semplici.
Non è che mi sentissi superiore, tutt’altro, erano loro che si meravigliavano della chiarezza d’idee che mi facilitava la decisione.
Questo non vuol dire che le mie decisioni fossero tutte giuste ma erano decisioni.
Come tali a posteriori potevo capire se fossero state giuste o sbagliate. Rimango tutt’ora convinto che sia meglio decidere a rischio di sbagliare che non decidere.
Ho imparato a prender decisioni grazie a due diverse scuole:
- i lavori di gruppo, che ho fatto intensamente per tutto il liceo, che mi hanno costretto a condividere decisioni, ovvero a negoziare con il gruppo la decisione che avrei voluto prendere;
- la fisica, che ho studiato all’università, che molto mi ha insegnato, oltre alla fisica in senso stretto, fornendomi un bagaglio di strumenti particolarmente utile a prendere decisioni.
Non sono un decisionista, intendendo con questo termine chi passa rapidamente all'azione e privilegia le proprie decisioni sulla riflessione e sul confronto con gli altri, ma prendo decisioni velocemente, perché velocemente leggo e penso.
Qualcuno parla di istinto, io preferisco parlare di razionalità e capacità, oltre che volontà, di ragionare.
Il tutto unito alla sensibilità di saper discernere gli elementi fondamentali ai fini della decisione, da quelli accessori o, addirittura, pleonastici.
Una decisione è figlia del contesto e del momento in cui è presa.
Al passare del tempo il contesto può mutare e di conseguenza la decisione potrebbe dover cambiare.
Per fortuna sono sufficientemente in grado di cambiare le mie decisioni se le condizioni lo richiedono.
Quello che attuo nel prendere decisioni è un approccio che definisco situazionale.
Ad una domanda che ci poniamo o che ci viene posta, ad un problema da risolvere, non c’è mai una sola risposta, soluzione, possibile.
Di questo bisogna convincersi sino in fondo.
La vita non è fatta di bianco e nero, che almeno avremmo sempre il 50% di probabilità di azzeccarci nel prendere una decisione.
Normalmente esiste una pluralità di possibili risposte e soluzioni, ciascuna con le proprie caratteristiche, con il proprio contesto d’uso, i propri vantaggi e svantaggi.
Prendere una decisione significa cercare di immaginare e passare in rassegna queste possibili diverse soluzioni.
Pur ben sapendo che non lo si potrà mai fare esaustivamente, perché questo allungherebbe i tempi della decisione, tanto da renderla inutile.
Condividere le decisioni da prendere non significa delegare ad altri la decisione, o scegliere quello che la maggioranza dei nostri interlocutori ci propone, ma integrare l’elenco delle possibili scelte arricchendolo di altri punti di vista.
L’esercizio di assumere il punto di vista dell’altro è fondamentale, soprattutto nel momento in cui la decisione da prendere coinvolga anche l’altro.
C’è una semplice verità tenere sempre presente: nessuna soluzione è mai la migliore o peggiore in assoluto.
Da questa verità discende un corollario importante: chiunque può suggerire la soluzione preferita, aggiungendola all’elenco delle soluzioni possibili, a patto di:
- differenziarla chiaramente dalle precedenti;
- saper produrre un ragionamento razionale che ne dimostri la convenienza, in almeno un certo contesto d’uso.
Di queste possibili decisioni bisogna analizzare i pro ed i contro, in relazione al contesto in cui la decisione va presa.
L’esatta percezione del contesto, che spesso include anche un’autopercezione di se stessi, è quindi altrettanto essenziale della capacità di immaginare un elenco sufficientemente variegato e poliedrico di possibili soluzioni.
Chi decide prescindendo dal contesto è un integralista, un dogmatico, un assolutista, un teorico, in sintesi un cattivo decisore, prigioniero di ideologie e pregiudizi.
Decidere significa adottare un approccio di pragmatismo operativo, che in definitiva significa vivere.
Per molto tempo nella storia dell’uomo saper correttamente decidere ha significato addirittura sopravvivere, questo non può non legarsi al contesto in cui la decisione viene presa.
Le decisioni più difficili sono quelle che coinvolgono le emozioni, i sentimenti, le relazioni con le persone più care.
Rifiuto il luogo comune di un conflitto tra cuore e cervello, perché nel cuore vedo solo una banale pompa meccanica, mentre nell’ancora scarsamente compreso cervello colloco, oltre che l’intelligenza atta a decidere, anche la memoria ed il nostro senso d’identità, le emozioni ed i sentimenti.
Per questo cerco di evitare di prendere decisioni quando sono emozionato e, nell’impossibilità di prescindere dai sentimenti, acquisire la visione di qualcuno meno empaticamente coinvolto può essere di grande aiuto.
Decidere è faticoso, può essere stressante, comporta la volontà di assumersi responsabilità.
Decidere isola, anche quando la decisione è condivisa, perché c’è sempre uno che la decisione ha proposto e qualcuno che alla decisione si adegua, sollevato dall’onere, ma in un certo modo plagiato o prevaricato.
Mi piacerebbe ogni tanto abbandonarmi ad essere un puro attuatore, nel lavoro come nella vita privata, equivarrebbe ad immergersi in una vasca di deprivazione sensoriale.
Vorrei avere un periodo sabbatico in cui qualcuno che mi dice cosa devo fare, in questo modo esonerandomi dal dover assumere decisioni, anche le più banali, lo sento come riposante.
Per questo ogni tanto mi concedo una riposante vacanza perfetta.
Una vacanza in cui aderisco alle scelte di qualche amico, rifiutando persino di scegliere un itinerario, un ristorante, abbandonandomi interamente al suo decidere.
Sono belle appaganti, riposanti (in senso mentale) vacanze a tutto tondo.
L’amico diventa una sorta di GO, si pronuncia “jei-o”, acronimo di Gentil Organizateur termine inventato nei villaggi Club Med o Valtur (peraltro da me mai frequentati).
I veri GO sono l’anima della vostra vacanza:
- vi organizzano la vita con riunioni di gruppo in cui vi ricordano persino di lavarvi i denti; vi straziano in piena notte con giochetti melensi;
- vi trascinano tutti intruppati in pratiche le più diverse;
- vi chiamano continuamente dagli onnipresenti altoparlanti richiamandovi ai tempi del divertimento categorico.
- In una sola parola i GO sono esperti di felicità e, per di più, della vostra; è proprio questo che li rende così temibili!
Eppure ai pochi amici di cui ho piena fiducia, delego senza timore tutte le mie decisioni, riconoscendogli quel ruolo di esperti della mia felicità.
Nel tempo ho preso le mie decisioni errate, ovviamente ne prendo tutt’ora, questo mi ha aiutato, prima a crescere, poi anche ad imparare.
Sono tutt’ora in fase di apprendimento, oggi, quando la maggioranza dei miei coetanei ha raggiunto la presunzione di sapere.
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Quando non avrò più voglia di prendere decisioni e, così facendo, non sarò più in grado di apprendere, sarò morto, anche se magari il mio cuore continuerà a battere.
Vero, prendere delle decisioni spesso è stressante se si tratta di cose importanti che comportano l'assunzione di responsabilità verso altri e si teme di sbagliare e quando si tratta di assumere decisioni in condivisione magari in coppia viene il bello:-), ma anche in gruppo, non sempre è facile trovare un accordo se le visioni sono opposte. Dici bene che non esiste un'unica soluzione migliore non sempre però questa idea è accettata, che spesso per buona pace ad uno tocca proporre la decisione e l'altro accettare che altrimenti non si arriverebbe ad alcuna comune decisione:-)
RispondiEliminaAnche se ci sono occasioni dove un approccio troppo democratico le rende inutili per il tempo che ci si mette ad elaborarle come decisioni collettive, la decisione è sempre individuale, anche se concordata.
Eliminaho imparato mio malgrado, a prendere decisioni fin da piccola...talvolta, in situazioni più grandi di me...e da allora non ho più smesso, pagandone spesso lo scotto.
RispondiEliminaImparare a prendere decisioni è importante ed essenziale, decidere, invece che rimanere immobili e passivi in attesa degli eventi, significa vivere, anche se a volte dolorosamente.
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