“Duro come un mattone”, in inglese si scrive “Thick as a brick”.
Thick as a brickè un album dei Jethro Tull, una suite metafisica con forti connotazioni rock, blues e folk.
Il magico folletto è Ian Andersoncon la sua bacchetta magica, il flauto traverso.
Un disco rivoluzionario, persino per i rivoluzionari canoni del rock progressivo degli anni ‘70, che certo aveva abituato i suoi estimatori alla lunghezza dei brani, diventati ormai vere e proprie suite.
Mai nessuno aveva raggiunto la durata "monstre" di un unico brano che si snoda lungo i solchi dell'album di vinile senza soluzione di continuità, se non quella necessaria per ribaltare manualmente l'ellepì ed ascoltarne così la seconda faccia.
Thick as a Brickè un concept album, considerato uno dei momenti più alti della carriera dei Jethro Tull, perfetto esempio del particolarissimo approccio del gruppo al rock progressivo.
I testi sono presentati come opera di un immaginario bambino prodigio, il poeta Gerald Bostock.
La copertina è caratterizzata da un packaging insolito: il fronte è un intero quotidiano ripiegato e sfogliabile, un inesistente St. Cleve Chronicle del 7 gennaio 1972.
In prima pagina la notizia della premiazione dell'immaginario Bostock e, all'interno, i testi dell'opera, confusi tra altri articoli.
Thick As A Brick attenua le tendenze hard-rock dei Jethro Tull, recuperando le radici folk di Ian Anderson introducendo arrangiamenti barocchi e, per alcuni, vaniloquenti.
La prima parte comincia all'insegna della musica dei menestrelli, ma la seconda parte si avventura in meandri spirituali.
Il canto di Anderson può essere pretenzioso ma la musica che lo accompagna è sempre fresca, coesiva, scattante.
Anche dopo quarantasei anni.
Confesso che a me, ragazzina di provincia, abituata ad ascoltare le sinfonie di Beethoven, la musica dei Jethro Tull dava l'impressione di una forma di disordine, non disordine nel senso di privo di ordine quanto piuttosto di mancante dell'ordine/armonia-melodia tradizionale, una specie di ricerca per sovvertire i canoni e provocare a cambiare modo di pensare. Forse sbagliavo; ma ci vedevo una creatività istintiva, un po' aggressiva e violenta, quasi come quella dei bambini iperattivi e di tanti ragazzini "diversi" che ancora non erano stati classificati dsa. Era come se i Jethro e altri gruppi stessero insinuando in maniera provocatoria che la normalità, quella che io pensavo essere la normalità, se mai era esistita, certo stava perdendo terreno e non sarebbe esistita mai più. Era come se dicessero: "Tu, che pensi di essere normale, sei sicuro di esserlo per davvero o è la paura di non saperti collocare in un mondo più vasto che ti spinge a camminare nel solco della normalità?" … Sto cercando ancora la risposta; ma non ne ho trovato una semplice e definitiva.
RispondiEliminaSentiti Bourée, un brano del 1969 dell'album Stand Up, riarrangiamento della Suite per liuto n° 1 BWV 996 di J.S. Bach, lo trovi disordinato?
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