Parla Gehzzi della "televisione come oggetto che diventa soggetto".
Ricerco sprazzi delle parole di Ghezzi negli appunti presi in un incontro remoto, per appropriarmene facendole mie, per ricomporle in un nuovo ordine e significato, perché in essi trovo enunciate delle verità applicabili al Virtuale.
Virtuale, oggetto che diventa soggetto, facilmente aggettivabile nella contrapposizione dello SLASH a me così cara:
- pubblico (post per tutti) / privato (messaggio);
- grande (sterminata innavigabile seriale successione di post) / piccolo (al limite solo il Nickname);
- magnifico (emozione, informazione, illusione, affabulazione) / orrendo (tramonto del significato);
- sincrono (chat, comunicazione in diretta) / asincrono (messaggio registrato scritto e letto in diversi tempi come le e.mail);
- fiction (ipocrisia, menzogna, trasformismo) / non fiction (rappresentazione della propria realtà, trasparenza);
- news tematica (argomento specifico) / introspezione (diario personale).
"Virtuale" cui applicare quindi qualunque verbo e predicato, "Virtuale" che tutti i verbi sopporta.
Non se ne deduce un derivato modo verbale suo proprio: "virtualizzare" da "Virtuale", come "telefonare" da "Telefono". Eppure ho sentito usare come orrido neologismo "bloggare" che proprio in questa assurda direzione si muove.
Non usa dire sono "Virtualizzato", piuttosto si dice: "sono connesso al Virtuale", "comunico nel Virtuale", "scrivo nel Virtuale".
In questo modo diviene evidente come il "Virtuale" da solo appaia improprio, vicino all'impersonale, per brulicante che sia di facce, d'immagini e di scritti.
Se è impossibile, indicibile, usarlo da solo il "Virtuale", si può solo contornarlo di verbi contrapposti, ancora una volta, con lo SLASH:
- connettersi / scollegarsi;
- navigarlo / scrutarlo;
- amarlo / odiarlo;
- (creder di) usarlo / esserne usati.
Sono nel "Virtuale", a leggere pensieri e percepire emozioni che s'intrecciano, cosa che ci illude che una comunicazione comunque ci sia.
Allo stesso modo di come sono al "Cinema", ha vedere una pellicola una ritmata sequenza di foto, che ci illude che un movimento comunque ci sia.
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